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(DL)- L'AZIENDA CHE MANTIENE IN SERVIZIO IL DIPENDENTE PER ALCUNI ANNI DOPO AVERE SCOPERTO CHE HA COMMESSO UN ILLECITO,NON PUO'SOTTOPORLO A PROCEDIMENTO DISCIPLINARE E LICENZIARLO DOPO LA SUA CONDANNA IN SEDE PENALE (CASS.SEZ.LAV.,04.04.2
Una dipendente della S.p.A. Poste Italiane, in seguito a un esposto presentato nell’agosto del 1993, ha subito un’ispezione, al termine della quale è stata denunciata alla Procura della Repubblica per avere incassato la somma portata da un libretto postale intestato a sua madre, deceduta, falsificando la firma. E’ seguito un processo penale che in primo grado si è concluso con l’assoluzione dell’impiegata, mentre in secondo grado ha avuto come esito, nel 1999, la sua condanna alla pena di sei mesi di reclusione per i reati di abuso d’ufficio e di falso.
Né prima né dopo tale processo l’azienda ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti della lavoratrice che è rimasta in servizio con incarichi di crescente importanza.
Nel gennaio del 2000 la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dall’impiegata avverso la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari. In seguito a ciò la S.p.A. Poste Italiane ha sottoposto l’impiegata a procedimento disciplinare, contestandole l’addebito di essere stata condannata, con sentenza definitiva, per i reati di abuso di ufficio e di falso in relazione all’episodio denunciato nel 1993. Il procedimento disciplinare si è concluso nell’agosto del 2000, con il licenziamento in tronco, motivato con riferimento alla condanna riportata dall’impiegata in sede penale per un fatto commesso nell’esercizio delle sue funzioni.
La Corte ha rilevato che sin dall’agosto del 1993 l’azienda aveva avuto piena conoscenza dei fatti per i quali era successivamente intervenuta la condanna in sede penale, ma per sette anni non aveva mosso alcuna contestazione all’impiegata mantenendolo in servizio e attribuendole mansioni di particolare importanza. Questo comportamento era interpretabile unicamente come manifestazione della volontà di rinunciare alla applicazione della sanzione.
La Suprema Corte ha affermato ciò sulla base del principio di immediatezza della contestazione dell’addebito e dell’applicazione della sanzione, rilevando che l’azienda aveva atteso ben sette anni prima di contestare alla dipendente i fatti costituenti un illecito disciplinare, sicché tali fatti non potevano certamente qualificarsi come di gravità tale da rendere impossibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, che, invece, si è svolto del tutto pacificamente per sette anni.
MG
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