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(DL)- LA CORTE DI CASSAZIONE FISSA GLI ESTREMI DEL MOBBING (CASS.SEZ.LAV.,6.03.2006,N.4774)

La Corte di Cassazione, con recente sentenza della sezione lavoro numero 4774/2006, ha chiarito che il mobbing può realizzarsi con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato. Il mobbing sussiste semplicemente se la condotta del datore di lavoro ha assunto nel tempo sufficiente idoneità offensiva, e di natura vessatoria tale da comportare una lesione dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore.

Con la sentenza in esame la Suprema Corte ha individuato i connotati della condotta datoriale idonei ad integrare l’illecito del datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Si tratta, quindi, di una sentenza importante in quanto definisce quali sono i comportamenti del datore di lavoro che possono essere considerati condotta mobizzante.

Si può definire mobbing la condotta datoriale protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente.

Pertanto, per ottenere il risarcimento da mobbing, il lavoratore deve dimostrare che l’intento persecutorio del datore di lavoro è diventato una regola: un comportamento non occasionale, quindi, ma duraturo nel tempo.

La Corte ha stabilito che la sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata – procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi – considerando l’idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa.

MG

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