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(DPR) - PRIVACY PASSWORD AZIENDALE (CASS.sez.lav.,13.09.2006,N.19554)

E' sanzionabile con il licenziamento il dipendente che diffonde la sua password all'esterno dell'azienda, consentendo in questo modo ad altri di accedere alle informazioni aziendali. Lo sottolinea la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 19554 del 13 settembre 2006, nel rendere definitivo il licenziamento inflitto ad un dipendente di una societa' di computer dell'Aquila, che aveva dato la sua password ad un ex collega licenziato tempo prima dalla societa', consentendogli di accedere a informazioni anche riservate dell'azienda.

A fare scattare l'allarme, la circostanza che a partire dal mese di novembre del '99 erano state eseguite connessioni con la rete informatica interna della societa' utilizzando l'identificativo del dipendente in questione. Le connessioni si erano verificate anche da un'utenza telefonica del distretto di Milano, in giorni in cui lo stesso era al lavoro nella sede di Avezzano, ed erano proseguite anche nel mese di dicembre utilizzando la password che il dipedente aveva da poco sostituita.

Nel caso di specie il dipendente aveva accesso al sistema come user, e cioè come utente ordinario: poteva, utilizzando l’apposito codice, accedere alle statistiche ed alle illustrazioni pubblicitarie dei prodotti, anche se non poteva interagire con il sistema, non aveva accesso ai programmi e non poteva fare copia di files o programmi residenti nel sistema.

Orbene, la Corte d’Appello aveva ritenuto che, in base alla gravità dell’inadempimento realizzato dal lavoratore, il licenziamento fosse giustificato, in quanto il comportamento del lavoratore si era concretato nella diffusione all’esterno di dati (le password personali) idonei a consentire a terzi di accedere ad una grande massa di informazioni attinenti l’attività aziendale e destinate a restare riservati.

Argomentazioni condivise dai Giudici di legittimità, secondo i quali il licenziamento è una sanzione commisurata a tale tipo di violazione, e non ha alcuna importanza il fatto che la password in questione consenta l’accesso come semplice user del sistema, senza la possibilità di fare copia dei programmi e dei files in esso contenuti, ma solo di scaricare statistiche e materiale pubblicitario.

I giudici, nel confermare la sentenza d’appello, hanno fatto espresso riferimento ad una precedente sentenza della Corte di Cassazione – la numero 2560 del 2 marzo 1993 – che consentiva al datore di lavoro di licenziare per giusta causa il dipendente che avesse sottratto documenti aziendali riservati.

In termini speculari, è stata ritenuta idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento la sottrazione di dati aziendali riservati a seguito dell’abusiva intromissione nella rete informatica del datore di lavoro.

Sono quindi cambiate le modalità e le tecniche di sottrazione delle informazioni aziendali, ma l’orientamento giurisprudenziale nella sostanza è rimasto invariato nel tempo.