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(DC) CONCORRENZA E PRATICHE DI VENDITA SOTTOCOSTO (Cass. n. 2980 del 07.02.2020)
La Suprema Corte è intervenuta in materia di concorrenza parassitaria, realizzata con il sistema delle vendite sottoscosto ,fornendo i criteri di liceità o meno di tale ultima modalità di esercizio dell’ attività commerciale.
I giudici di legittimità hanno ribadito come la concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598 c.c., n. 3, consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria diacronica) o dall’ultima e più significativa di esse (in quella sincronica), vale a dire prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore.
Una vendita quindi a c.d. prezzi predatori, perchè inferiori in sostanza ai costi di produzione, o dumping interno (voce derivata dall’inglese medievale dumpen o dompen, a sua volta mutuata dallo scandinavo e traducibile in italiano con “lasciar cadere”). Una condotta della quale è stato rilevato il carattere bivalente atteso che la riduzione dei prezzi per un verso ben può risultare quale esito di una effettiva concorrenza, ma per altro, integrare uno strumento per eliminare la concorrenza stessa
Con brillante e interessante dissertazione il Collegio è giunto alla conclusione, nel rispetto dell’ orientamento prevalente della Corte stessa (Cass. 26 gennaio 2006, n. 1636), per la quale la scelta di un imprenditore in ordine alla politica dei prezzi sia in via di principio lecita, trattandosi di un comportamento strettamente legato alle valutazioni di rischio, che solo a lui competono, nel rispetto, naturalmente, delle regole sulla disciplina del commercio. Mentre l' “utilità sociale”, dalla medesima disposizione costituzionale prevista a limite della libertà d’impresa, va intesa pur sempre con riguardo al c.d. interesse del mercato, ossia a quello che nuoce o giova al buon funzionamento del medesimo, e, quindi alla generalità dei consumatori: e non al mero interesse di un altro concorrente a non essere messo in difficoltà.
La vendita sottocosto sarebbe quindi contraria ai doveri di correttezza ex art. 2598 c.c., comma 1, n. 3, solo laddove abbia a connotarsi come illecito antitrust, in quanto posto in essere da una impresa in posizione dominante e praticata con finalità predatorie. In buona sostanza la vendita sottocosto è favorevole ai consumatori ed al mercato, sino a quando non giunga alla soppressione della concorrenza, e, perciò, si traduca in un danno per gli stessi consumatori ed il mercato, onde solo in tale ultima situazione si realizza l’illecito concorrenziale da dumping interno (DG).