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(DLPI) MANCATO SUPERAMENTO DEL PERIODO DI PROVA DA PARTE DI UN MEDICO DELLE ASL (Cass. 14.06.2018 n. 15638)
Con la sentenza n. 15638/2018 la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito il principio secondo cui, in tema di licenziamento per mancato superamento del periodo di prova l’art. 14 del CCNL Dirigenza medica e veterinaria dell’ 8 giugno 2000 prevede che il recesso del lavoratore debba essere motivato con riferimento alle ragioni che hanno impedito il superamento della prova, che la motivazione deve essere contestuale all’atto di recesso e che la possibilità di integrazione “per relationem” vale solo con riferimento ad atti e documenti già comunicati al lavoratore destinatario. Orbene, il giudizio veniva promosso da un dirigente medico di anatomia patologica dipendente dell’Azienda Sanitaria n. 21 del Veneto che veniva licenziata per mancato superamento del periodo di prova. Il Giudice di Legittimità, uniformandosi alla decisione della Corte d’appello di Venezia in sede di riassunzione nonché a quella del Tribunale, ha chiarito che l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 14 della su citata disposizione contrattuale ha la funzione di dimostrare che il recesso del datore di lavoro è stato determinato effettivamente da ragioni specifiche inerenti l’esito dell’esperimento della prova e non è dovuto a ragioni illecite o comunque estranee al rapporto ed in particolare a forme di discriminazione. La congruità della motivazione deve essere suscettibile di controllo da parte del giudice con riferimento alla finalità della prova. La Corte ha anche chiarito che, pur in presenza di un rapporto di lavoro pubblico, l’atto di recesso è un atto avente contenuto e natura negoziale, unilaterale recettizio e che dunque deve essere completo in ogni sua parte al momento della ricezione da parte del destinatario. Difatti, lo stesso art. 14 comma 5 del CCNL Dirigenza Medica 8.06.2000 prevede espressamente che: “il recesso opera dal momento della comunicazione alla controparte. Il recesso dell’azienda deve essere motivato”; dunque il recesso, per essere valido ed efficace ed avere un effetto risolutivo del rapporto deve essere contestualmente motivato. Da ultimo, il Giudice di Legittimità nel richiamare un principio più volte affermato (ex plurimis, Cass. n. 5115 del 2010, n. 10662 del 2014) ha stabilito che la possibilità affinchè il recesso sia integrato “per relazionem” vale solo con riferimento ad atti e documenti già preventivamente comunicati al lavoratore destinatario dell’atto espulsivo ovvero già nella sua disponibilità o comunque riprodotti nel loro contenuto essenziale nell’atto di recesso e ciò all’evidente scopo di rispettare i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio. (Nella specie l’affermazione contenuta nel provvedimento di recesso era priva di qualsiasi indicazione sul perché il giudizio datoriale non fosse stato positivo; né la motivazione del recesso era rinvenibile per relazionem dalla delibera del Direttore Generale n. 406/2008 richiamata nel provvedimento, ma mai formalmente comunicata all’interessata) (PR).