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(DL) IL CONIUGE DEL PORTATORE DI HANDICAP HA DIRITTO ALLA ASSEGNAZIONE DELLA SEDE PIU’ VICINA (Cass., S.U., 27.03.2008 n. 7945)
Con la sentenza in epigrafe, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che l’art. 33 della legge 5 febbraio 1992 n. 104 statuisce che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede; la posizione di vantaggio ex art. 33 si presenta come un vero e proprio diritto soggettivo di scelta da parte del familiare-lavoratore che presta assistenza con continuità a persone che sono ad esse legate da uno stretto vincolo di parentela o di affinità. La ratio di una siffatta posizione soggettiva va individuata nella tutela della salute psico-fisica del portatore di handicap nonché in un riconoscimento del valore della convivenza familiare come luogo naturale di solidarietà tra i suoi componenti.
Nonostante l’innegabile sua portata sociale – ha affermato la Corte – la disposizione in esame non può però far ritenere che il diritto del genitore o del familiare lavoratore dell’handicappato di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito in altra sede senza il suo consenso sia un diritto assoluto o illimitato, in quanto presuppone, oltre agli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, altresì la compatibilità con l’interesse comune; invero secondo il legislatore – come è dimostrato anche dalla presenza dell’inciso “ove possibile” – il diritto alla tutela dell’handicappato non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in maniera consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi – soprattutto per quel che riguarda i rapporti di lavoro pubblico – in un danno per la collettività. In questo caso quindi il diritto del familiare-lavoratore deve bilanciarsi con altri interessi, che trovano anche essi una copertura costituzionale, sicché il riconoscimento del diritto del lavoratore-familiare può – a seconda delle situazioni fattuali a fronte delle quali si intenda farlo valere – cedere a rilevanti esigenze economiche, organizzative o produttive dell’impresa, e per quanto riguarda i rapporti di lavoro pubblico, ad interessi della collettività ostativi di fatto alla operatività della scelta ex art. 33, comma 5, del d.lgs. n. 104 del 1992.
La prova della sussistenza delle ragioni impeditive del diritto alla scelta della sede – ha affermato la Corte – fa carico poi sul datore di lavoro.
MG
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